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mercoledì 27 agosto 2008

mentre scrivo il copertinario per L'albero delle arance - Carlos Fuentes

ho letto l'incipit. Folgorante.

Vidi tutto questo. La caduta della grande città azteca, in mezzo al frastuono dei tamburi, l'urto dell'acciaio contro la selce e il fuoco dei cannoni castigliani. Vidi l'acqua bruciata della laguna sulla quale fu fondata la Grande Tenochtitlan, due volte più grande di Córdoba.
Caddero i templi, i trofei, le insegne. Caddero anche gli dèi. E il giorno successivo alla sconfitta, cominciammo a erigere le chiese cristiane con le pietre dei templi indios. Chi fosse curioso o incredulo troverà alla base delle colonne della cattedrale della città di Messico i simboli magici del Dio della Notte, lo specchio fumante di Tezcatlipoca. Quanto dureranno le nuove dimore del nostro Dio unico, costruite sulle rovine non di uno ma di mille dèi? Forse quanto i loro nomi: Pioggia, Acqua, Vento, Fuoco, Spazzatura..


In realtà, non lo so. Io sono appena morto del mal francese. Una morte atroce, dolorosa, inevitabile. Un fiorire di piaghe regalatomi dai miei stessi fratelli indigeni, in cambio dei mali che noi spagnoli portammo loro. Mi meraviglia vedere la città di Messico popolata dalla sera alla mattina da visi butterati, segnati dal vaiolo, distrutti come le strade della città conquistata. Si agita, ribollente, l'acqua della laguna; i muri hanno contratto una lebbra incurabile; i visi hanno perduto per sempre la loro nera bellezza, il loro profilo perfetto: l'Europa ha sfregiato per sempre il volto a questo Nuovo Mondo che, a ben vedere, è più vecchio di quello europeo.
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