Il fiume leviga il mondo, stacca le cose solide
e le trascina via. Per lui i nostri giorni non sono altro
che polline di pioppo. Alla gente importa essere
in gamba, avere talento. Al fiume basta la continuità.
William Least Heat-Moon, Nikawa (1999)
"Ma io non voglio andare dove c'e` gente matta!" disse Alice.
"Oh non ne puoi fare a meno, - disse il Gatto, - qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta."
"Come sai che io sia matta?" domandò Alice.
"Tu sei matta, - disse il Gatto, - altrimenti non saresti venuta qui."
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martedì 24 febbraio 2009
domenica 15 febbraio 2009
QUI le cose si complicano
Compro e rivendo tuoni, fecondo le nutrici dei miei schiavi, incido dischi da dove la mia voce fuoriesce in lunghi filamenti neri.
Poi ridiscendo a terra, e lì le cose si complicano.
Claro, Madman Bovary, Nutrimenti-Gog, a marzo nelle librerie
Genialmente Oblique, aspettando marzo
giovedì 12 febbraio 2009
giovedì 11 dicembre 2008
martedì 2 dicembre 2008
domenica 30 novembre 2008
e chi l'avrebbe mai detto???
...un MIO post con Lorenzo!!!
10 anni dopo!!
oddio, strani effetti la domenica mattina...
però Safari "rieditata" per il covo di bolscevichi, un canto generale di protesta all'Italia..
"come l'areo del cavaliere che lo porta in giro a fare ste figure
ci prendono in giro pure gli eschimesi
che c'hanno il buio che dura sei mesi
ma il resto dell'anno loro c'hanno il sole
e invece qui da noi c'è sta cappa scura
la strategia della paura
paura del diverso e dell'uguale
della befana e di babbo natale"
e poi...
10 anni dopo!!
oddio, strani effetti la domenica mattina...
però Safari "rieditata" per il covo di bolscevichi, un canto generale di protesta all'Italia..
"come l'areo del cavaliere che lo porta in giro a fare ste figure
ci prendono in giro pure gli eschimesi
che c'hanno il buio che dura sei mesi
ma il resto dell'anno loro c'hanno il sole
e invece qui da noi c'è sta cappa scura
la strategia della paura
paura del diverso e dell'uguale
della befana e di babbo natale"
e poi...
"mangio il sushi con le caldarroste"
... amore mio, ma sei proprio tu!!! :)
che si fa per amore.. pure un post con Jovanotti!
vabbè, "pensiamo positivo" e mentre dormi nel nostro letto, ti guardo e.. "sei come la mia moto, sei proprio come lei" :)
... amore mio, ma sei proprio tu!!! :)
che si fa per amore.. pure un post con Jovanotti!
vabbè, "pensiamo positivo" e mentre dormi nel nostro letto, ti guardo e.. "sei come la mia moto, sei proprio come lei" :)
venerdì 28 novembre 2008
sotto la più grande nevicata che abbia mai visto, leggo... ed è subito maggio
Ai miei occhi, ci sono pochi spettacoli naturali emozionanti quanto le nuove file di piantine di verdure che emergono dalla terra primaverile come una cittadina rigogliosa. Amo l'alternanza del verde tenero e delle zolle rivoltate scure e grasse, l'ordine geometrico di quel riquadro di terra che è un orto in maggio [...]
Michael Pollan, LA BOTANICA DEL DESIDERIO. Il mondo visto dalle piante, il Saggiatore
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martedì 25 novembre 2008
ancora sulle balene (visto che continuano tempeste in tazza grande...)
Moby Dick non è soltanto il mirabile romanzo che tutti sanno: è un libro 'totale', dove la Balena ("the Whale") sta appunto per il tutto ("the Whole"). Così è una cronaca di avventure marine e un trattato esoterico, un epos dell'orrore e della meraviglia, un libro arioso e un'enciclopedia. In Italia, quest'opera inesauribile ha avuto la sorte di essere tradotta per la prima volta da uno dei nostri piu' importanti scrittori: Cesare Pavese. E si tratta di una traduzione che ebbe una notevole influenza su Pavese stesso e tutta la cultura italiana dei suoi anni.
dal sito Adelphi
Massimo Bacigalupo, Le talpe di Moby Dick
Leggere o rileggere Moby-Dick potrebbe essere un bel proposito per l’estate, visto che la fama di libro-mondo, di vero specchio dell’umanità e dell’America alle soglie dell’apocalisse, è affatto meritata. Può dissuaderci la lunghezza, ma in realtà i 135 capitoli sono per lo più brevi, si possono gustare col gelato. E la comicità è una nota ricorrente, accanto ovviamente al sublime e tutto il resto. Ma chi non si destreggia nel bell’inglese del 1851 dovrà servirsi di una delle otto traduzioni integrali disponibili da noi, in primis quella classica del giovane Pavese, che ha un bel respiro d’autore e dunque è tutto sommato da preferire. Una delle più recenti, di Bernardo Draghi (Frassinelli, pp. 758, €12,39), è alquanto meritoria per freschezza e impegno, ed è unica nel contenere una postfazione del traduttore sui criteri addottati nella versione. Così Draghi ci spiega perché ha scelto di rendere il celebre incipit “Call me Ishmael” con “Diciamo che mi chiamo Ismaele”: per sottolineare che Ishmael non è necessariamente il “vero” nome del narratore ma un nome simbolico che egli assume (Ismaele orfano nel deserto). D’altra parte la forza dell’imperativo originale si perde: “Chiamatemi Ishmael” anche in italiano ha molti sensi, compreso quello dell’autonominazione simbolica. Nel presentare una sua lettura scenica di Moby-Dick, Alessandro Baricco ebbe a dire che l’avvio è ammirevole nella sua semplicità, “come dire, mi chiamo Mario Rossi”. Nulla di più sbagliato: Ismaele non è Rossi! Tutto in questo romanzo sarà ricco di valenze, e l’imperativo annuncia che esso è tutto una apostrofe al lettore, chiamato in causa ad assistere alla tremenda vicenda.
Nella postfazione Draghi racconta come grazie alla rete e altro ha potuto venire a capo di problemi irrisolti nelle precedenti traduzioni e cita l’inizio del capitolo 110, dove per cercare una falla nella stiva si procede a issare in coperta tutte le botti, scendendo sempre più giù, “mandando quelle moli gigantesche (gigantic moles) da quella nera mezzanotte in alto nella luce del sole” (Nemi D’Agostino). Draghi dopo una lunga discettazione conclude che “moles” sono talpe e traduce “giganteschi talponi”, sostenendo di essere il primo a essersene accorto. Poiché nel 1991 mi è toccato rivedere per Mondadori la traduzione di Cesarina Minoli, ho effettuato un controllo. In effetti, Minoli traduce “moli gigantesche”. Ma la versione da me riveduta, disponibile negli Oscar, legge “quelle talpe gigantesche”. Chissà perché Draghi afferma che l’errore è comune a tutte le traduzioni, quando invece esso è corretto in quella pubblicata nella collana di tascabili più diffusa in Italia. Visto che tutti i traduttori e revisori hanno distrazioni, sono contento di averla scampata in questa occasione e rivendico le mie talpe... Non per questo sono meno grato a Draghi di avere simpaticamente discusso i suoi procedimenti: se no non mi sarei accorto di questo piccolo nodo. Chissà che esso non incuriosisca qualcuno e gli faccia mettere Moby-Dick (scelga lui o lei la traduzione!) nella sacca da viaggio.
“Il Manifesto-Alias”, 9 agosto 2008UNA TAZZA DI MARE IN TEMPESTA (come me certe mattine)

Matteo Codignola
Un tentativo di balena
- Il presentatore più adatto per questo libro sarebbe l'impresario di un freak show, cioè uno di quei personaggi in cilindro e marsina che promettevano, a chi fosse entrato sotto la loro tenda, l'incontro con donne barbute, gemelli siamesi o vergini ottentotte. L'impresario in effetti esiste, si chiama Roberto Abbiati, è attore e regista di se stesso, ma soprattutto costruisce bizzarre scenografie. Chi entra nella sua scatola, e possono farlo solo quindici spettatori alla volta, si troverà al cospetto di una specie di prodigio: la creatura più smisurata dell'immaginazione occidentale – Moby Dick – trasformata in modellino e protagonista di uno spettacolo in quindici minuti, che ne narra per intero la storia. Chi entra nel racconto di Codignola, invece, si aggirerà in un testo singolare, per un terzo divagazione su un virus che si propaga all'istante – l'attrazione per la miniatura, visiva o narrativa che sia –, per un terzo programma di una sala molto simile alla stiva del Pequod, e per lo spazio rimanente esplorazione di un mondo minuscolo, dove niente, né questo stesso piccolo libro, né la scatola che contiene, né il libro enorme che la scatola racchiude, sembra esistere a grandezza naturale: ma dove per la grandezza naturale, sorprendentemente, si finisce per non provare alcuna nostalgia.- Nella fantascienza arcaica succedeva spesso che uno scienziato mosso dalle peggiori intenzioni escogitasse un raggio, o qualche altra diavoleria, in grado di ridurre uomini e cose a fattezze minuscole. Forse alcune di quelle formule sono finite in mano a Roberto Abbiati, e forse Abbiati - scenografo, e regista di se stesso - ha deciso di sperimentarle su uno degli esseri più smisurati che abbiano mai posseduto l'immaginazione occidentale: Moby Dick. Di fatto, ha costruito una bizzarra macchina teatrale - una scatola di quattro metri per due, che contiene quindici spettatori - usando la quale il suo Ismaele racconta di Ahab, della Balena, e di quasi tutto il resto. Ma lo fa in quindici minuti. A colpire, qui, non è solo il tentativo di raccontare una vicenda enorme nel minore spazio e nel più breve tempo possibili - anche perché questa sembra essere una fantasia ricorrente, che ha sedotto autori come Stephen King e John Huston, Orson Welles e Joseph Cornell. A stupire è piuttosto il sortilegio di cui, percorrendo questo curioso libro, finiamo per cadere vittime. Dopo essere entrati nello spettacolo descritto dal racconto di Codignola e dai disegni di Abbiati, infatti, ci ritroviamo a esplorare un mondo in miniatura, ma completo in ogni sua parte: e scopriamo con una certa meraviglia di desiderare tutto, tranne l'antidoto capace di riportarci alle dimensioni usuali.
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